L’undicesimo comandamento per ogni comunicatore e, più in generale, ogni imprenditore, manager, libero professionista, dovrebbe essere anche il primo: stabilire previsioni per il futuro. Di ogni tipo. Sia ottimiste, sia pessimiste. Meglio ancora a breve e a lungo termine. Ok: la crisi in cui siamo caduti non poteva essere prevista, specialmente dopo oltre dieci anni di crescita economica mondiale. Ma è un caso da manuale: una crisi esogena che, semplicemente e tragicamente, sconvolge tutti gli equilibri, dalla finanza alla politica, dalle famiglie al lavoro.
Come si faceva ad essere pronti? Con una preparazione per i tempi di crisi, un piano di emergenza per individuare risorse, capitali e strategie da mettere in campo per un unico obiettivo: sopravvivere.
C’è un’aggravante “psicologica”, purtroppo: è insito nella natura umana attivare i meccanismi di reazione alle peggiori crisi solo quando, ormai, le crisi incombono su di noi. Cioè, quando è troppo tardi. È umano, anche troppo: prepararsi al peggio sembra svalutare la razionalità per cadere vittima alle paure più irrazionali – come appunto una “pandemia” che finora era una realtà solo per la science fiction delle serie tv.
Ma la razionalità non va confusa con la normalità: la razionalità è la capacità di analizzare la realtà senza escludere possibili cambiamenti, buoni o cattivi – e non solo adattarsi al tram-tram quotidiano. Questa si chiama inerzia e, spesso, causa molti danni.
Inerzia è ficcare la testa nella sabbia e non accorgersi dei pericoli in arrivo. Razionalità è includere ogni tipo di scenario possibile. Razionalità vuol dire previsione e prevedere è essenziale per sopravvivere qualunque cosa succeda. Oggi più che mai è fondamentale elaborare previsioni. Il futuro è davvero un’incognita.
Non è vero che “torneremo alla normalità” perché la normalità, quella che abbiamo lasciato fuori da casa circa un mese fa, è già finita nel passato. Dobbiamo costruire una nuova normalità. Ma il primo passo per costruire questa nuova normalità non è il più piacevole. Bisogna assorbire il trauma che stiamo vivendo in questo momento ma ora dobbiamo mettere nell’angolo perché dobbiamo “combattere” e vincere questa guerra. Ecco, proprio così.
Come succede dopo una guerra, i soldati hanno bisogno di riadattarsi, riconoscere a mente fredda quello che è successo, poter finalmente piangere le vittime, sfogare le paure, le tensioni, le costrizioni, anche fisiche, a cui ci sottopone questa vita da trincea. Solo così rinasce una nuova normalità.
Ecco perché prevedere il futuro significa garantirsi una prospettiva che tuteli i grandi sforzi e sacrifici che stiamo facendo oggi. In guerra, ogni giorno è una battaglia, con i suoi morti. Ma si vince la guerra quando si protegge questo futuro che ci stiamo duramente conquistando.