“Anziché ossessionarci con l’essere persone perfettamente realizzate, dovremmo preoccuparci di più di uguaglianza, comunità, vulnerabilità ed empatia. Dovremmo uscire dalle nostre teste ed essere più presenti nel mondo intorno a noi”.
Carl Cederström, ricercatore svedese, docente universitario, autore del libro “The Happiness Illusion”.
Insomma: tutto (o quasi) oggi è legato strettamente alla nostra realizzazione economica e professionale, al quanto produciamo, alle nostre performance.
Sui social diventiamo un “brand” o aspiriamo a diventarlo, anche se non lo facciamo per lavoro. Rincorriamo i follower, creiamo hashtag, facciamo promozione personale. Vogliamo diventare “qualcuno”. Da “soggetti a progetti”. Facciamo fatica a fare qualcosa soltanto per il gusto di. Facciamo fatica a essere felici e basta, senza un obiettivo o un risultato. Eppure anche annoiarsi è produttivo.
Una ricerca, realizzata da studiosi della Società Britannica di Psicologia, ha evidenziato che le attività passive, che potremmo catalogare come “noiose”, in realtà possono incrementare la nostra creatività. La noia ci spinge a sognare a occhi aperti, lasciando la mente libera di creare connessioni. Soprattutto ci ridarà il senso dell’ozio.
Abbiamo il permesso di smettere di “essere imprenditori di noi stessi”, di tanto in tanto. Torniamo a fare cose solo perché ci piace – e faremo meglio anche il nostro lavoro.